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  • Editoriale



    di
    Alessandro Vaccarone


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    Il mito del design


    Alla ricerca delle ipotesi che governeranno il futuro, provenendo da un passato e da un presente che hanno smentito ogni previsione, dobbiamo necessariamente addentrarci in un campo minato.
    Il mondo degli oggetti è governato da oltre un trentennio dal design, ovvero dalla progettazione e realizzazione di forme alla quali si è associato sempre di più un contenuto immateriale legato a valenze espressive in tutto simili alla produzione artistica.


    Tentare di entrare con spirito critico in ciò che è divenuto un vero e proprio mito potrebbe esporre a “scomunica” chi osasse sezionare le componenti “reali” da quelle immaginarie.
    Ma la deriva consumistica che ha colpito i paesi affrancati dai bisogni primari (almeno per buona parte) mostra, a nostro avviso, necessario correggere la narrazione del design in quanto mito per restituire, anche a tutto vantaggio di quanti (e sono la maggior parte degli abitanti del pianeta) non hanno avuto la possibilità di arrivare al traguardo della soddisfazione dei bisogni primari, una dimensione corretta dell’utilizzo degli oggetti.
    Non desideriamo certo smentire quanti (e noi tra questi) affermano che il valore simbolico diviene spesso preponderante nell’osservazione di un oggetto, ma il simbolo mantiene la sua individualità che è psichica, mentre l’oggetto... rimane un oggetto.
    Il mito è narrazione, è descrizione di ipotesi fantastiche collegate ad un divenire che in quelle trova la propria giustificazione.
    Si ripropone quasi come necessità nel trascorrere delle generazioni, alle quali fornisce risposte ad ansie esistenziali o costituisce guida quando il buio cala sulla coscienza collettiva.
    Far assurgere il design, ovunque e dovunque applicato, al ruolo di mito per incanalare flussi di consumo e per generare valori economici fittizi, non pare rispondere alle esigenze del mondo che ci si para dinnanzi.
    Alle origini dell’arte le forme rispondevano ad esigenze estetiche manifestate dal committente per l’appagamento di proprie istanze.
    L’artigiano realizzatore proponeva la propria personale visione della rappresentazione di realtà, spesso immaginarie, affidando alla capacità tecnica, oltrecchè ideativa, un risultato che, a distanza di secoli, è celebrato come arte universale.
    Nell’era in cui l’artista non ha spesso committenza, ma propone proprie immagini destinate a ricercare, a posteriori, istanze a cui dare risposte non più individuali ma collettive, il marketing, nuova scienza del racconto, definisce la narrazione del design conferendogli il ruolo di mito.
    Il brand, altro rito celebrato sugli altari del marketing, fornisce al design i contenuti simbolici abilmente costruiti sull’interrogazione delle istanze inconsce, fino a conferire all’oggetto un plusvalore assolutamente abnorme rispetto ai contenuti materiali.
    Non vogliamo addentrarci ora (ma lo faremo certamente in futuro) sul destino di questo plusvalore e cioè sulla sua equa redistribuzione, ma continuiamo a riflettere sulla contraddizione tra la dimensione reale e quella simbolica del consumo.
    Non avremmo tentato di percorrere questo difficile percorso se l’analisi avesse dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la gratificazione indotta dal possesso dei simboli mitologici del consumo sia stata la condizione per il raggiungimento di appagamento e di serenità superiori all’acquisto dello stesso oggetto privo di quei contenuti.
    La realtà che ci circonda non pare essere espressione di questo risultato.
    Ridare valore all’idea della forma ponendola in relazione diretta con il valore della realizzazione e riconsiderare entrambe per la loro capacità di rispondere ad istanze oggettive e psicologiche?
    Lasciare che il mercato premi le vere differenze a parità di informazione (Internet dimostrerà in questo la propria spinta “rivoluzionaria”), senza la preponderanza del messaggio sul contenuto dell’oggetto, restituendo il mito alla sua dimensione e lasciando che il simbolo si formi attraverso la relazione dell’oggetto con l’uomo?
    Non sono certo indicazioni di ciò che il futuro potrà determinare, ma semplici interrogativi ai quali tentare insieme di dare risposte.

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